Il destino dell’uomo è l’uomo

sugli “Scritti teatrali” di Bertolt Brecht

Davide Termini

In questa raccolta di testi, il regista tedesco teorizza (ed applica) la sua nuova visione del teatro, della recitazione e della regia. Una visione definita con il nome di teatro epico. Lo fa prendendo una posizione ben chiara definendoli Über eine nicht-aristotelische Dramatik (Su una drammatica non Aristotelica). La descrizione avviene attraverso tesi ed enunciati scritti «in sede di osservazioni alle mie opere teatrali, allo scopo di una giusta esecuzione di dette opere».1 Nella molteplicità di temi presentati vorrei soffermarmi in quelli che, secondo me, risultano essere i contenuti più rilevanti nell’ambito della formazione del teatro di regia. Perché questi elementi? Perché hanno tutti in comune un unico aspetto: la trasmissione di un messaggio in maniera chiara e diretta senza l’effetto che lo stesso Brecht definisce narcotico. Per essere più precisi sarebbe meglio fare un passo indietro e definire qual è l’aspetto della drammatica aristotelica che non si adatta a questo tipo di teatro e perché. Solo successivamente possiamo analizzare gli elementi presi in considerazione.

Il teatro aristotelico

L’analisi parte dall’idea che il teatro è fatto per gli uomini e quindi non è indifferente alle leggi che governano la loro vita e quindi passibile di cambiamento. Come l’uomo, il teatro deve evolversi e non considerare i fatti umani come imprevedibili o fuori dal controllo delle cose. Per far questo abbiamo bisogno di una coscienza sociale sviluppata, non attraverso l’empatica visione dei fatti e il sollievo per non averli commessi ma, attraverso una visione cosciente, contestualizzata, realistica e critica dei fatti. Il teatro (politico) aristotelico basa la trasmissione del messaggio attraverso l’immedesimazione e l’empatia del pubblico che condivide il dolore dei personaggi sulla scena, li rivive come reali, li considera nel continuum della scena per poi trovare sollievo “per non aver commesso il fatto”. Brecht considera questo potere di trasformazione, ma deve partire dal teatro e dal gesto sociale, con una forte connotazione didattica che abbia un riscontro sociale negli uomini promuovendo un cambio nel mondo d’oggi.

Carattere culinario dell’opera

In quello che Brecht definisce “carattere culinario” vi è una parte del problema, un contesto e una risposta al problema. Ci spiega le condizioni in cui si trova l’opera con il caratteristico aspetto d’intrattenimento superficiale, tipico dello spettacolo rivolto allo spettatore che dimentica chi è, entra in teatro per dimenticare la sua vita senza, probabilmente, prestare attenzione a cosa succede. Brecht si riferisce alla necessità di coinvolgere lo spettatore, se è il caso anche di confonderlo, come a dirgli di smetterla di guardare emozionato e commosso a lo spettacolo e di chiedersi il perché! Cosa succede? Perché succede? Egli stesso indica il suo modello come un modello filosofico anche se parecchio scientifico. Quello che cambia infatti è il tipo di funzione che svolgono le differenti componenti, quali la musica, il testo e le immagini. Passiamo da dilettare e “narcotizzare” lo spettatore a svegliarlo. Oltre all’aspetto divertente unisce elementi razionali irrazionali tali da costringerlo a una riflessione. Cosa che ad esempio fa con la musica2. Porta all’estremo il concetto di divertimento senza però rinunciare all’inserimento di elementi didattici. In seguito questo porterà alla definizione di altri elementi quali il gesto sociale, l’avversione all’aspetto narcotico e allo straniamento.

L’osservazione dell’uomo

L’osservazione è una delle attività che B. suggerisce ai propri attori per rendere vivi i personaggi che si rappresentano, tenendo sempre presenti però le indicazioni secondo cui non si deve permettere l’immedesimazione totale. Quelli che si interpretano sono situazioni di persone vive. Anche il concetto stesso di interpretare va considerato come l’atto di raccontare, non da persona interna al personaggio ma da persona esterna. Un attore non diventa il personaggio “spazzino”, mostra ciò che fa, quello che rappresenta, quello che sente e gli succede in quanto uomo e persona viva. Se poi confonde il pubblico e suscita domande, meglio per lui (per l’attore), significherà che la ricerca (scientificamente realizzata) avrà portato buoni risultati, sarà stato «un vero attore dell’era scientifica! ».3 Tutto ciò che egli non fa dovrà essere contenuto in ciò che fa. L’osservazione parte da un concetto di comunicazione efficace tra l’osservatore e l’oggetto osservato: il primo dovrà prendere dal secondo quello che, con le azioni e le conseguenze, gli raccontano ed esprimerlo. È sempre un discorso legato alla comunicazione non superficiale ma profonda e con una funzione determinata non autoreferenziale.

Lo straniamento

Meccanismo fondamentale, probabilmente più facile a dirsi che a farsi. Innanzi tutto, l’elemento importante che ogni attore dovrebbe ripetersi come un mantra è: non è permessa l’immedesimazione. L’attore non è il suo personaggio, racconta cosa ha fatto il suo personaggio. È separato dal suo personaggio persino linguisticamente: nelle stesse indicazioni di Brecht troviamo l’indicazione di utilizzare il parlare in terza persona o usare tempi composti al passato. Lo scopo: evitare che lo spettatore si immedesimi con l’attore, che metta in pratica quello che, al giorno d’oggi, chiameremmo “pausa del senso critico”. In poche parole: anche mettendo per assodato che nessuno può volare e vediamo Superman farlo, il fatto che prenda un elicottero a metà di una caduta libera senza distruggere sé stesso, Lois Lane e l’elicottero non ci fa battere ciglio, sorvolando completamente sulla violazione delle leggi fisiche. Ecco, questa pausa del senso critico era il nemico numero uno di Brecht. Inoltre per quanto riguarda l’attore, lo stesso regista sostiene che il subcosciente è troppo gracile per poter sopportare la propria immedesimazione, non ci riesce e scade in una semplice imitazione vanificando il senso dell’opera.

La scena di strada

Questa scena, secondo Brecht, riassume tutti gli elementi ed è allo stesso tempo una guida per evitare di perdere il punto centrale del suo nuovo teatro. Riportare gli elementi, passare una comunicazione che, nonostante la mancanza di un meccanismo di immedesimazione, sia meno vera, reale e realmente immanente. La scena di strada contiene gli aspetti essenziali: abbiamo un fatto, un evento che è successo in un altro momento temporale rispetto al tempo in cui chi racconta il fatto, il testimone, deve raccontare ciò che è accaduto. Può raccontarlo imitando gesti, movenze, azioni, persino mimando, senza la necessità di credersi egli stesso uno dei protagonisti dell’azione. Sta testimoniando e non per questo, quello che racconta, è meno importante. Dalla sua testimonianza dipendono i destini di altre persone (o personaggi). Possiamo intendere come destino, il giudizio che avranno dei coinvolti le persone che ascolteranno i fatti. Perché è questo il punto centrale e più importante di tutto: chi ascolta deve farsi un’opinione e non deve semplicemente stare lì ad ascoltare provando pena e senza prendere parte. Brecht chiama in causa il pubblico, lo rende attivo. Probabilmente l’atto più sovversivo del suo metodo è proprio questo: mettere di fronte il pubblico alla sua stessa natura affinché questo possa osservarsi, prendere coscienza e decidere. Potremmo associarlo ad un’ottica di montaggio. Mi viene in mente il titolo di una conferenza sull’inno di Mameli-Novaro da parte di Michele D’Andrea: «Se raccontate bene, anche le carrucole da pozzo sanno emozionare».

È vero che la realtà delle cose può superare le aspettative pensando al fatto che l’opera dove, più di tutte, B. attaccava la borghesia fu quella più acclamata dalla stessa borghesia: L’Opera da quattro soldi, tratta da The Beggar’s Opera. È mia opinione che parte di questo malinteso fu l’uso delle musiche totalmente separate dall’azione non musicale in un’epoca in cui si stava sviluppando la musica leggera (che leggera non è, ma ne riparleremo in un altro articolo).

Il gesto sociale

Funzionale al discorso di Brecht è il gesto sociale. Il gesto in sé, una qualsiasi azione autoreferenziale dell’attore senza una reale giustificazione, non significa niente; ma se questo gesto ha una connotazione sociale a dimostrazione di una condizione, ha quindi una funzione e possiamo considerarlo gesto sociale. Potremmo definire il gesto sociale come un movimento o una serie di azioni funzionali non in sé per sé ma secondo un’ottica di utilità espressiva ai fini di una comunicazione sociale. Un altro dei fondamenti utili a Brecht nel suo scopo di comunicare al pubblico una visione alla quale prendere parte. È accompagnata dalla musica gestuale, anch’essa non separata dalla funzione sociale. Coincidono in questi elementi (gesto sociale e musica gestuale) i principi di non immedesimazione. Si parte dai primi precetti: non si può passare direttamente al canto come se nulla fosse, come se all’improvviso il soggetto per esprimersi dovesse necessariamente iniziare a cantare. Le canzoni devono essere nettamente separate e devono essere soprattutto canzoni: devono suggerire una posizione critica e, certamente, devono anche piacere, devono divertire; a tal proposito la separazione dei concetti di musica seria e musica leggera. Indicativo è il concetto di musica d’uso (Hindemith, ad esempio, scrisse musica d’uso) in quanto applicazione nella musica di un concetto di attività da parte dei fruitori. Lo spettatore smette semplicemente di ascoltare e prende parte alla produzione, diventa attivo partecipante all’azione musicale (il suonare appunto).

Brecht in salsa Deleuze

una riflessione

Negli scritti, una particolare attenzione è data all’aspetto funzionale del metodo. Un approccio scientifico al teatro che in un certo modo elogia l’era di trasformazioni in cui viveva lo stesso B. ma nel quale viviamo anche noi. Un aspetto evidente è la contestualizzazione degli eventi e dei temi delle opere. Contestualizzare all’epoca in cui viviamo è il mezzo che abbiamo per fare di opere scritte in altri tempi, delle opere attuali, con una funzione sociale applicabile ai nostri tempi. È il meccanismo a fare di queste teorie una pratica scientifica. Anche se tutto è imperniato di una visione filosofica, come spiega nella lettera a un attore cercando di chiarire in cosa consiste il suo metodo. Partendo da questo punto io mi chiedo: possiamo identificare il tempo in cui viviamo come il contesto sul quale applicare un ragionamento di questo tipo? Credo di si. I tempi cambiano continuamente. Nel cambiamento sono racchiusi degli elementi fissi e degli elementi mobili. Considero elementi fissi l’animo umano, perché si sviluppa attraverso le stesse necessità e le stesse debolezze di sempre. È vero che queste necessità e queste debolezze sono state influenzate e gradualmente modificate dalle evoluzioni della società, ma in linea di massima ci sono delle caratteristiche “dure a morire” (la sete insaziabile: concetto astratto per indicare, ad esempio, la sete di potere). Ci sono poi degli elementi mobili, o variabili, ossia le relazioni tra gli uomini, gli equilibri che si stabiliscono tra essi nel determinare la gerarchia delle cose e dei ruoli. Cambiamenti descritti perfettamente da Deleuze. Ecco, pensare ai cambiamenti della società in questi termini ci permette di applicare gli stessi meccanismi teorizzati da Brecht per fare in modo che lo spettatore prenda posizione. Una sorta di definizione, o ricerca, delle “nuove armi” per usare un eufemismo che lo stesso Deleuze usa nel suo poscritto sulle società di controllo.

Il concetto stesso di spettatorialità è cambiato e continua a cambiare anche se lentamente. Con il teatro epico e, di conseguenza, tutto quello che porta con se, Brecht ha dato un altro uso a quello che era la drammatica Aristotelica. È chiaro che si sia allontanato dal concetto ma non dalla meccanica. Non si parla più di eventi non controllabili, ma di uomini davanti a uomini, situazioni reali comunicati attraverso gesti con una precisa funzione sociale. Un altro modo di vedere le cose, proponendole a un pubblico che, per fruire dello spettacolo teatrale, non può emozionarsi empaticamente ma politicamente, quindi scegliendo e prendendo posizione.

Brecht regista

Negli aspetti visti finora quello che notiamo chiaramente è la visione d’insieme ricercata continuamente. L’ammirazione per le tecniche scenografiche oltreché fisiche e d’aspetto drammaturgico, la concezione dell’uomo del tempo, la contestualizzazione delle opere d’altri tempi con una precisa visione sociale, ci confermano come Brecht, uno dei più importanti registi del suo tempo, abbia fissato le caratteristiche del teatro di regia fin dall’invenzione. La consapevolezza che lavorare a un’opera teatrale fosse un’opera creativa collettiva è presente continuamente sia nella sua carriera che nei suoi scritti (cosa inevitabile in quanto eredità teorica del metodo e della sua visione, oltre ai modelli per le opere composti da foto e indicazioni, a dire dello stesso regista, per mantenere viva l’efficacia della funzione delle opere tale e come sono state pensate, esaltando il valore e il vantaggio di copiare i modelli funzionali). Adesso, siamo in piena fase di ricerca, non solo artistica ma ontologica, rispetto alla figura, ai limiti e alle possibilità del regista o della sua assenza. In ogni caso, l’importante è non fermarsi tenendo in considerazione che, nel teatro come nella vita, il destino dell’uomo è l’uomo.

Bibliografia consigliata

B. Brecht, Scritti teatrali, Torino, Einaudi, 2001

G. Deleuze, Pourparler, Macerata, Quodlibet, 2000

C. Longhi (a cura di), Culture teatrali. La regia in Italia, oggi, Bologna, Ed. La casa Usher, 2016

Videografia consigliata

C. Battistoni, Giorgio Strehler mette in scena L’opera da tre soldi, Documentario Radio Televisione Italiana Programmi Sperimentali, Piccolo teatro di Milano, 1973.

1 B. Brecht, Scritti teatrali, Torino, Einaudi, 1962, p.237

2 «Quanto più la musica rende la realtà imprecisa, irreale – e certamente ne risulta una terza cosa, molto complessa, in se stessa di nuovo assolutamente reale, da cui possono derivare effetti assolutamente reali, ma che però si è del tutto allontanata dal suo oggetto, dalla realtà di cui si serviva – tanto più l’insieme riesce denso di godimento: l’intensità del godimento dipende direttamente dal grado di realtà» , ibidem p. 26.

3 Ibidem, pp. 229 – 231.

Uno spettacolo senza limiti

Matarile, Inloca

Regia e soggetto di Ana Vallés

Ieri, come succede già da un po’ di tempo, sono stato al Teatro Jovellanos di Gijón con il mio mentore e amico A. con il quale ho visto uno spettacolo della compagnia teatrale Matarile. Nella descrizione del programma si legge:

(tradotto) In loca, liberamente tradotto dal latino: luogo dove. Tutto unito Inloca [non “loca” che in spagnolo significa “pazza”] è un aggettivo inventato per negare la follia ([non essere] mai folle?). Ma comunque non indicherebbe effettivamente l’essere sano di mente, e ancora meno “ragionevole”.

Da queste parole possiamo farci un’idea sulla tipologia di manifestazione artistica, sul tipo di spettacolo. Si tratta di quadri basati su riflessioni fatte sulla base di idee di filosofi, artisti, grandi personalità del pensiero come Deleuze, Agamben, Steiner e Tarkowski tra molti altri.

I quadri si sviluppano con dialoghi e monologhi sagaci dove le idee, mai vuote o superflue, si mischiano alla danza nella perfetta polifonia di una scrittura scenica Contrappuntistica. Multipli livelli come multiple emozioni che richiamano l’attenzione. Un continuo scambio, un dialogo pressante con il pubblico a cui si rivolgono gli attori (ad spectatores).

La scena, che sembra dipinta con l’uso eccellente del colore e della luce, degno del miglior Adolphe Appia, sostiene e risalta il contrappunto di cui parlavamo.

Disegno scenico, luce e danza, danno vita a una scena che va più in là dei confini del palco scenico, molto oltre alla separazione tra attore e pubblico. Di fatto, la sensazione che traspare è di una apertura completa. Come se la platea non esistesse e fossimo tutti parte dello spettacolo. Così facendo il pubblico si ritrova nella scena e viene illuminato dalla scene che rompono la quarta parete estendendolo a tutto il teatro.

Il pubblico viene invitato costantemente, a volte in modo implicito attraverso la musica e gli effetti coinvolgenti, a volte in modo esplicito, essendo coinvolto in questo dialogo continuo con l’attore in un continuo ed eccitante loop autopoietico di feedback (dove la reazione del pubblico alimenta quella dell’attore che reagisce in una forma differente e restituisce la sensazione al pubblico che riprende il ciclo in forma quasi infinita). È difficile non essere parte attiva di un’espressione corporea, musicale e personale così grande.

Tratti comici e tragici esposti all’inesorabilità del tempo che passa. Con questo spettacolo si espone il corpo umano fisico e metafisico: le relazioni tra soggetti, il corpo cambiante, l’anima, l’immaginazione, la sinestesia dei sensi e le percezioni.

L’esposizione del corpo che vive e si manifesta in tutta la sua vulnerabilità, la sensualità, la forza e l’eleganza di corpi che danzano in un tempo che scorre. Si tratta della verità dell’esistenza fotografata nell’istante in cui ne realizza la fragilità.

Davide Termini

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